1. Russia: come il terrore cambia gli equilibri al Cremlino

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    Riccardo Amati
    By Amolaconcretezza il 4 April 2017
     
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    La probabile matrice islamica dell’attentato nella metropolitana ricorda ai russi che sono nel mirino. L’evoluzione dell’estremismo nel Caucaso settentrionale. I “duri” del Cremlino cavalcano la paura e premono per un ulteriore irrigidimento autoritario. L’analista: “diranno che protestare non è patriottico”. Finisce così la breve primavera dell’opposizione a Putin.


    ’attacco terroristico a San Pietroburgo, probabilmente opera dell’estremismo islamico, riporta tra i russi la paura, dopo che negli ultimi anni gli attentati che più volte avevano colpito il Paese nel recente passato si erano diradati. Lo shock del momento, e poi la sua elaborazione, nulla cambieranno nell’impostazione della politica del Cremlino in Medio Oriente e nel Caucaso. In politica interna, potrebbero decretare la vittoria dei “falchi” in favore del pugno duro dopo le proteste che nei giorni scorsi hanno sorpreso e spaventato la élite al potere.

    Torna la paura
    I russi non sono fifoni, anzi son famosi per esser gente tosta. Ma il terrorismo è difficile affrontarlo e impossibile sopportarlo. Le facce di chi camminava tra il fumo per uscire dalla metropolitana, ripetutamente inquadrate nella diretta della TV di Stato all news Rossiya 24, erano più efficaci delle parole. “Sono terrorizzata”, ci diceva al telefono da San Pietroburgo Oksana, 54 anni, che due volte al giorno utilizza la stazione di Sennaya Ploshchad, vicino alla quale è esplosa la bomba. “Non so come tornare a casa, certamente non con la metro (dopo una temporanea chiusura, in serata le corse sono riprese, ndr). E’ orribile. Impossibile difendersi da una cosa così. Sei proprio alla loro mercé”. E’ stato difficile parlarle: le linee erano sovraccariche, e per almeno un paio d’ore i telefonini sono andati in tilt. Intanto, tassisti e conducenti di autobus non facevano pagare le corse e la città si stringeva nella solidarietà. L’unica reazione possibile.


    I russi non sono novellini, come obbiettivi del terrore
    La metropolitana di Mosca è stata per tre volte il bersaglio di gruppi islamici del Caucaso. Nel 2004 due esplosioni a sei mesi di distanza l’una dall’altra uccisero una cinquantina di persone. Nel 2010, due attentati suicidi in due stazioni in pieno centro storico ne ammazzarono altre 40. L’anno dopo, l’attacco all’aeroporto internazionale di Domodedovo, alle porte della capitale: 37 vittime. Poi, però, solo episodi minori, sul suolo patrio - se si escludono la Cecenia e le altre tormentate repubbliche del Caucaso settentrionale.

    Nel mirino dei fondamentalisti
    La Russia nel frattempo è entrata ufficialmente nel mirino dell’ Isis, che le ha dichiarato la guerra santa in seguito all’intervento militare nel conflitto siriano. Alla fine del 2015, propagandisti del sedicente stato islamico fecero circolare un video in cui si minacciava di annegare la Russia “in un mare di sangue”, poco dopo aver rivendicato l’abbattimento di un volo charter pieno di turisti russi sopra la penisola del Sinai, in Egitto (276 vittime). Fondamentalisti di lingua russa hanno fatto attentati in Turchia, compreso quello del gennaio scorso alla discoteca Reyna di Istanbul (39 morti). Almeno 9mila “foreign fighters” hanno raggiunto l’Isis dalla Russia o da Paesi ex sovietici. Ci sono prove circostanziate che i servizi di sicurezza di Mosca ne hanno agevolato la partenza, ritenendo così di liberare il Paese di tipi pericolosi. Ma che succede se invece di farsi ammazzare in Siria i tipi poi tornano in patria, addestratissimi e assetati di vendetta?

    Islamismo caucasico
    Quel che è successo a San Pietroburgo, anche se al momento non ci sono rivendicazioni né certezze investigative, potrebbe esser spiegabile con l’evoluzione dell’atteggiamento politico-militare russo nei confronti dell’estremismo islamico e con l’evoluzione di quest’ultimo nelle regioni caucasiche che della Russia fanno parte o sono limitrofe. Gli attacchi dei primi anni Duemila, come la tragedia del teatro Dubrovka di Mosca nel 2002 o quella della scuola di Beslan nel 2004, erano finalizzati al ritiro russo dalla Cecenia, e non alla strage di per sé. Poi, il movimento separatista ceceno si trasformò in Emirato del Caucaso, col programma di istituire uno stato islamico, e attrasse combattenti fondamentalisti dal Daghestan e altri Paesi vicini. Rivendicò le bombe nella metro del 2009 e a Domodedevo nel 2010. Oggi quel gruppo terroristico potrebbe essersi rafforzato grazie ai “foreign fighters” di ritorno dalla Siria.

    Cosa cambia
    La Russia è in Medio Oriente per rimanerci, dimostra l’evoluzione del conflitto siriano e il coinvolgimento politico in quello libico. La lotta al terrorismo è l’unica idea su cui Vladimir Putin può contare per giustificare internazionalmente la politica estera con cui è riuscito a riportare il suo Paese al ruolo di grande potenza che ritiene gli competa. Non ci sarà certo alcun passo indietro, nemmeno se l’attentato di San Pietroburgo fosse solo il primo di una serie. Qualcosa invece potrebbe cambiare in politica interna, sull’onda del terrore che torna a colpire il Paese. Con la conseguenza di chiudere, almeno temporaneamente, la brevissima primavera che ha recentemente visto decine di migliaia di persone scendere in piazza contro la corruzione ai vertici del potere e dell’autoritarismo del sistema politico in Russia.

    “Il Cremlino potrebbe esser tentato di usare la minaccia come una scusa per giustificare la proibizione delle proteste sulle basi della sicurezza pubblica”, dice a L’Espresso Mark Galeotti, specialista sulla politica russa dell’Istituto per le relazioni internazionali di Praga. “Soprattutto, alcuni dei commentatori più estremisti diranno che non è patriottico protestare o contribuire in altro modo all’instabilità”, aggiunge. E in effetti, fin dalle prime ore dopo l’attentato sulle televisioni di Stato si son cercati di accreditare fantasiose relazioni fra le dimostrazioni del 26 marzo e la bomba di San Pietroburgo. D’altra parte, fin dal giorno prima - dopo una settimana in cui i telegiornali governativi sulle proteste non avevan detto assolutamente niente - era iniziata una campagna sulla pericolosità dell’opposizione e sulla possibilità di una drammatica instabilità in caso di una “maidan” russa.
    “L’impressione è che l’attentato possa essere utile alle autorità, per esser cinici”, dice Valery Solovei, docente dell’Università Mgimo di Mosca. “Ogni attività politica verrà bloccata, e lo si giustificherà col richiamo ad unirsi intorno alla bandiera”.

    La primavera è finita
    L’arcinemico e nemesi di Putin Mikhail Khodorkovsky aveva messo al lavoro la sua organizzazione Open Russia per organizzare una “azione politica” il prossimo 29 aprile. Non è stata cancellata, ma Khodorkovsky dopo i morti nel metro ha subito detto che è il caso di “metter da parte ogni divisione” e di unirsi contro il terrore”. Il leader più carismatico dell’opposizione, Alexey Navalny è dietro le sbarre e può dir poco. Nell’unica intervista che ha potuto concedere, ha detto di aspettarsi un’incriminazione che vada ben al di là dei quindici giorni di arresti “amministrativi” a cui è stato condannato per “manifestazione non autorizzata”: il raid della polizia negli uffici della sua fondazione anti-corruzione, Fbk, e il sequestro dei computer potrebbe avere quella finalità, ha spiegato. La “primavera” di fine marzo è durata solo un attimo. I problemi che l’hanno determinata però restano tutti. L’attentato terroristico dà la palla ai duri del Cremlino, in lotta con i moderati per il controllo. La loro vittoria non potrà che esser temporanea, se si continueranno a ignorare i guai economici e morali che avvelenano la Russia.
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